Milan sconfitto, Pioli all’Inferno: il fallimento del Diavolo

Il Milan ha visto l'Inter esultare per il 20° proprio nel Derby di San Siro, dove Stefano Pioli ha firmato la sua resa: una Waterloo che certifica a tutti gli effetti il fallimento del Diavolo

Lorenzo Ferrai
12 Minuti di lettura
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Caronte ha traghettato il defunto Diavolo al di là delle acque del fiume Acheronte, condannandolo a un Inferno che probabilmente è più doloroso di qualsiasi eliminazione europea che si possa subire. Il Milan è crollato al cospetto dell’Inter, consegnando ai cugini il loro 20° Scudetto proprio nel Derby, un’umiliazione difficilmente digeribile in poco tempo. La Milano rossonera vivrà con le scorie di questa Waterloo ancora per diverso tempo.

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Sconfitta nella stracittadina, che per di più significa anche seconda stella per l’Inter, proprio in faccia a un Milan svuotato, mentalmente e fisicamente da quella che si è rivelata una stagione durissima e, in fin dei conti, fallimentare. L’1-2 subito nel Derby è stata solamente una sorta di eutanasia che il Diavolo si è inflitto per alleviare la sofferenza di un’annata vissuta con una marea di pressioni addosso, sulla squadra e, soprattutto, su Stefano Pioli, un capitano che ha perso la nave, questa volta definitivamente.

Milan attaccato a più riprese, così come il suo stesso allenatore, protagonista, suo malgrado di un autentico fallimento, proporzionato all’hype creatosi intorno a questa squadra ad agosto, quando le premesse erano di tutt’altro tenore. Con la campagna acquisti estiva, il Diavolo sembrava pronto a dare battaglia al Napoli e all’Inter. Ma la realtà dei fatti è stata ben altra.

Stefano Pioli, Milan
Stefano Pioli, Milan @livephotosport

Il fuoco si è spento

Secondo posto in campionato ed eliminazione ai quarti di finale di Europa League, dopo aver abbandonato la Champions nel girone più complicato. Stagione del Milan che deve, in un certo senso, essere etichettata come fallimentare, in proporzione al traguardo raggiunto dai cugini. E in questi casi, il dito viene sempre puntato contro il mister, prima ancora di psicanalizzare o condannare i giocatori.

È inevitabile mettere Stefano Pioli al primo posto per ciò che riguarda gli aspetti negativi di questo Milan. Lecito ma ingeneroso nei confronti di un allenatore che ha riportato il Diavolo sul tetto d’Italia dopo oltre dieci anni di attesa, pur senza godere dei favori del pronostico. Quella magia di due anni fa, contornata dal coro “Pioli is on fire“, è andata via via scemando, spegnendosi definitivamente con l’eliminazione in Champions League targata 2023, proprio per mano dell’Inter.

Proprio i Derby sono il grande tallone d’Achille dello stesso Pioli, uscito sconfitto nelle ultime sei occasioni, dove lo score recita 2 soli gol fatti e ben 14 subiti. Un ruolino di marcia insostenibile per i tifosi rossoneri, scagliatisi a più riprese contro il proprio allenatore, a partire proprio da quel 5-1 dell’andata, quando il Milan venne travolto dai velocisti di Simone Inzaghi, con Thuram e Lautaro che banchettarono in campo aperto.

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Uno smacco troppo grande da sopportare, specie in una città che vive di una rivalità borghese, dove un Derby vinto equivale a una predominanza di una fazione sull’altra. Le stracittadine perse non sono andate giù e Pioli è stato messo alla gogna, assistendo impotente alle razzie nerazzurre, senza poter opporre alcuna resistenza, perdendo poi l’atto decisivo. Un autentico paradosso, per un mister che aveva firmato il proprio trionfo proprio a seguito di un Milan-Inter.

Giroud, Milan
Giroud, Milan @twitter

In quell’occasione, il mattatore era stato Olivier Giroud. Pioli aveva compiuto un passo verso la gloria, mentre Simone Inzaghi era sull’orlo dell’esonero. Oggi, è avvenuto un ribaltamento dei ruoli. Anzi, la differenza è ancora più marcata di prima. Se l’Inter di Inzaghi ha raggiunto l’Olimpo, il Milan è precipitato, spingendo il proprio allenatore oltre le rive dell’Acheronte.

Il ciclo di Stefano da Parma sembra dunque esauritosi dopo cinque anni intensi, dove il emiliano è riuscito a guadagnarsi la stima degli scettici tifosi rossoneri, portandoli a intonare il famoso “Pioli is on fire” mai realmente tramontato del tutto, superando in volata i cugini interisti. È arrivato poi il sogno Champions, infrantosi però proprio sui cugini.

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Infine, la batosta nell’ultimo Derby che, assieme alla Caporetto europeo contro la Roma, scrive la parola “FINE” sull’epoca di Pioli, tanto intensa quanto burrascosa. Mai piatta e banale, con un Milan perennemente sotto i riflettori. In fin dei conti, con le evidenti responsabilità sotto gli occhi di tutti, il mister ha subito una sorte leggermente ingenerosa. Le vittorie e le sconfitte, così come i trionfi e le cadute, arrivano collettivamente. Il fallimento è stato del Diavolo.

Mercato sbagliato?

Le cause del fallimento milanista potrebbero essere ricercate su più fronti, a cominciare dal mercato, in cui il Milan era stato nominato re indiscusso dopo la folgorante campagna acquisti messa a segno in estate. La cessione di Tonali, dolorosa ma alquanto remunerativa, aveva spalancato le porte all’artiglieria pesante e gli arrivi di Loftus-Cheek, Pulisic, Chukwueze, Reijnders e Okafor avevano incendiato l’ambiente.

A loro modo, tutti hanno ricoperto un ruolo importante nell’economia della stagione del Milan, soprattutto i primi due, fra i migliori avuti a disposizione da Pioli, anche se è mancata continuità, specie nell’ultimo periodo. Di contro, gli altri sono stati spesso e volentieri incostanti, oltre a essere quasi centellinati a un certo momento. È il caso di Chukwueze, ma ancor più di Okafor, mai negativo le volte in cui è stato chiamato in causa.

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Milan sconfitto, Pioli all'Inferno: il fallimento del Diavolo
Chukwueze, Milan @Twitter

Eppure i risultati colti dal Milan sono sotto gli occhi di tutti. Nessun fallimento forse, ma indubbiamente al di sotto delle aspettative. Basti pensare che a settembre, i rossoneri in diverse griglie apparivano i candidati principali per lo Scudetto, obiettivo sbandierato fin da subito dallo stesso Pioli, a testimonianza del trapelante ottimismo che girava dalle parti di Milanello.

La realtà dei fatti la conosciamo, con un autunno da incubo per il Milan, ritrovatosi a fare i conti con un’epidemia dilagante, in particolare nel reparto difensivo, in cui Pioli è stato spesso costretto ad adattare Theo Hernandez, spostandolo centrale. Difesa incompleta, così come il centrocampo, dove il rientro di Bennacer ha riportato serenità e ordine a un reparto che aveva smesso di fungere da filtro.

In conclusione, parlare di mercato sbagliato non sarebbe corretto, quanto piuttosto di campagna estiva incompleta, in cui il Diavolo ha mancato l’acquisto di un centrale affidabile, ritrovandosi costretto a richiamare dal prestito Matteo Gabbia. In più sono mancate le alternative a centrocampo, come testimoniato dal vuoto lasciato da Bennacer durante la Coppa d’Africa.

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Il grande errore del Milan è stato quello di concentrarsi eccessivamente su un’unica zona di campo, tralasciando invece le esigenze del reparto arretrato. Pioli ha dovuto dunque subire le conseguenze di una sorta di negligenza societaria, benché la buona sorte non abbia favorito il Diavolo.

Malick Thiaw, Milan - @livephotosport
Malick Thiaw, Milan – @livephotosport

Ansia da prestazione

L’annata del Diavolo è stata inoltre caratterizzata dal mancato salto di qualità, mancanza manifestatasi a più riprese. Ma ciò che ha sorpreso è stata la differenza di rendimento fra il Milan “rilassato” e il Milan “sotto pressione”. I rossoneri si sono resi protagonisti di clamorose battute a vuoto, soprattutto nei big match. Oltre ai già citati Derby, Pioli ha sbattuto anche contro una Juventus corsara a San Siro, condannato dall’espulsione di Thiaw.

Anche contro la Roma, il Milan ha evidenziato carenze mentali e nervose, per cui i rossoneri si sono rivelati incapaci di frenare l’impeto emotivo dettato da una specie di “ansia di dover vincere”. L’arsenale a disposizione di Pioli, probabilmente era secondo solo al Liverpool, e dunque, con i Reds, il Diavolo riceveva i galloni di favorita numero uno. Titolo eccessivamente pesante, ritortosi inesorabilmente su un gruppo valido e valoroso, ma non sufficientemente pronto psicologicamente.

L’enigma Leao

Il primo limite di questo Milan è racchiuso nella figura che indossa la maglia numero 10, storicamente la più pesante in un club. Costui è Rafael Leao, eroe dello Scudetto 2021/22 e giocatore spacca difese. Un formidabile velocista dotato di estro e potenza fisica devastanti. Giocatore senza eguali in Italia, potenzialmente capace di vincere e dominare le partite da solo. Potenzialmente.

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Leao, Milan @livephotosport
Leao, Milan @livephotosport

Un Leao imprescindibile, anche troppo, visto che il rendimento del portoghese condizionava eccessivamente quello dell’intera squadra. Se Rafa girava, il Milan c’era, altrimenti era un’autentica sofferenza. E il 10 ha brillato pochissime volte, quasi mai nelle occasioni decisive, quelle che contavano davvero. Su tutte, l’ultimo Derby e il doppio confronto con la Roma, con conseguente resa da parte di Pioli.

Come si suol dire in questi casi “I limiti dell’una iniziano dove finiscono quelli dell’altra”. Leao troppo discontinuo per confermarsi a grandi livelli, col Milan troppo dipendente da un singolo giocatore per sperare di dare battaglia per vincere un trofeo, fosse esso l’Europa League o lo Scudetto. Viene da pensare che anche quest’anno, Rafa abbia fallito il tanto atteso e agognato salto di qualità e, con lui anche lo stesso Diavolo.

Senatori mancati

Come il numero 10, sono altri i giocatori che finiscono di diritto sul banco degli imputati. Su tutti, i simboli dello Scudetto, Maignan e Theo Hernandez, meno garanzie rispetto al passato. Tante battute a vuoto e nervosismo dilagante, oltre che incontrollabile per tenere la barra dritta. In questo caso, Pioli aveva vita dura, viste le mancanze dei suoi uomini chiave. Coloro di cui il tecnico si poteva fidare ciecamente ma quest’anno, hanno tradito il Milan, prendendo parte al fallimento del Diavolo.

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