🇮🇹 Italia, per vincere serve coerenza: la miglior difesa è l’attacco

L'Italia vince ma non convince: Spalletti cambia modulo, proponendo la difesa a tre e rinnegando il suo vecchio credo. La Nazionale fatica a ingranare, anche perché Chiesa dietro la punta proprio non si trova

Lorenzo Ferrai
16 Minuti di lettura
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Difesa a tre o difesa a quattro? Come nei problemi più complessi, non esiste una soluzione. Almeno non universale. Dal momento che a calcio si scende in campo in undici, il sistema di gioco va adattato alle caratteristiche degli interpreti a disposizione, anche in caso l’allenatore abbia un credo calcistico divergente in fatto di modulo. È il caso dell’Italia di Luciano Spalletti.

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La Nazionale è stata tutt’altro che convincente nell’amichevole disputata ieri sera (21 marzo) contro il Venezuela. Gli Azzurri hanno portato a casa la vittoria, 2-1 con due gol del redivivo Retegui, unica vera grande nota positiva. Ma, se la 9 dell’Italia sembra essere in buone mani, le perplessità maggiori giungono dal resto della truppa.

La Nazionale non ha fornito una prova indimenticabile, costellata di errori in impostazione e in fase di lettura. Un’Italia spaesata, soprattutto in fase difensiva, dove solo un reattivo Gigio Donnarumma ha impedito la capitolazione dopo appena 3′, neutralizzando il rigore di Rondon. Insomma, non un gran biglietto da visita in proiezione all’Europeo che disputeremo in Germania a giugno.

Spalletti, CT Italia
Luciano Spalletti, CT Italia @Twitter

Gli interpreti fanno la differenza

Luciano Spalletti, CT dell’Italia da agosto 2023, non è un giovanotto di primo pelo. Nella sua lunga carriera in panchina, il mister di Certaldo ha messo in campo diverse innovazioni, soprattutto migliorando il rendimento di molti suoi giocatori. Tutto ciò, contemplando un unico sistema di gioco. Il 4-3-3, trasformato spesso in un 4-2-3-1, in cui pressing alto e grande verticalità fanno la differenza, aiutati anche dal trequartista in grado di fare la spola fra centrocampo e attacco.

E anche il suo capolavoro maturato a Napoli lo scorso anno, poggia sulla solida base del 4-3-3, dove i compiti assegnati ai vari interpreti erano ben precisi, senza mai snaturarsi. La coerenza è sempre stata la parola d’ordine di Luciano da Certaldo. A prescindere dall’avversaria, seppure Spalletti sia stato sempre in grado di riuscire a leggere i diversi momenti della partita per cambiare in seguito i propri dettami.

All’interno di una partita se ne giocano sempre altre. Un allenatore lo sa bene e anche ieri, l’Italia ha saputo cambiare pelle, passando al 4-3-3 dopo 2/3 di gara trascorsi con la retroguardia a tre. E proprio con i tre centrali, gli Azzurri hanno faticato da matti, in costante inferiorità numerica a centrocampo e hanno prestato spesso il fianco alle ripartenze della Vinotinto. Anche in quei casi, solamente un grande Donnarumma ha evitato il tracollo.

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Certo, la scelta iniziale della difesa a tre è stata favorita anche dalle caratteristiche dei giocatori. Difatti, Buongiorno e Scalvini sono abituati a scendere in campo in un certo sistema di gioco, mentre Di Lorenzo, fedelissimo di Spalletti, ha ricoperto più volte la posizione di braccetto destro. Nonostante questo, la perplessità rimane, poiché l’Italia che ha ritrattato il precedente 4-3-3 non ha evidenziato grandi miglioramenti.

Luciano Spalletti, Italia
Luciano Spalletti, CT dell’Italia @Twitter

Tre o quattro: il dubbio amletico di Spalletti

Si torna sempre al solito discorso. Il modulo è importante, ma ancora di più lo è l’allenatore, che ha il compito di dare garanzie e certezze al proprio undici. Spalletti è arrivato al timone della Nazionale ad agosto 2023, confermando il suo 4-3-3 di fiducia fina dalle prime uscite. Non un’Italia splendente ma quantomeno solida e in grado di sistemarsi bene in campo, diretta dal proprio CT, che quel sistema di gioco lo conosce bene e grazie al quale ha riportato uno storico Scudetto a Napoli dopo 33 anni.

Perché allora questo cambio di filosofia? Spalletti ha sviluppato l’abitudine a giocare a quattro dietro, con due centrali (entrambi forti fisicamente) protetti dal faro della mediana. Lo scorso anno era Lobotka, ora può essere individuato in Locatelli. La risposta è piuttosto semplice. I nostri difensori, almeno quelli di alto rango, sono tutti abituati a destreggiarsi in una retroguardia a tre.

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Un perno che imposti il gioco, solitamente bravo in marcatura. E i braccetti che supportano la manovra, i quali conservano anche una certa propensione alle sovrapposizioni, così da creare una sorta di effetto di sorpresa per aprire le difese avversarie. Scalvini, Buongiorno Mancini, gli stessi Bastoni, Darmian. Tutta gente abituata a scendere in campo in un 3-5-2, che sia declinato poi in un 3-4-2-1 o in un 3-4-3.

In questo caso però, Spalletti sconfessa il caro vecchio 4-3-3 in favore di un modulo che avvantaggia i giocatori, perlomeno quelli difensivi, ma, allo stesso tempo, costringe il CT a reinventarsi totalmente. Il tempo la fa da padrone. E in nazionale, specie se essa si chiama Italia, non c’è troppo tempo a disposizione. Affinare nuovi meccanismi è complicato, a maggiore ragione se viene coinvolto un pioniere della difesa a quattro. E allora, qual è la strada giusta?

Fatti gli italiani, dobbiamo fare l’Italia

Storicamente, la forza dell’Italia è sempre stata la fase difensiva, con cui gli Azzurri hanno potuto superare avversarie sulla carta più forti e maggiormente attrezzate. Il 1982, il 1990, il 2006, ma anche il 2016, sono solo alcuni degli esempi in cui si nota la forza del gruppo, unita alla grande solidità che ci contraddistingue.

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Gianluigi Donnarumma, Italia
Gianluigi Donnarumma, Italia @Twitter

Ma EURO 2020, per certi versi, ha rappresentato una cesura fra la vecchia e la nuova Italia. Il trionfo di Wembley l’abbiamo maturato con un modo di giocare totalmente differente da ciò a cui eravamo abituati. Una Nazionale aggressiva, tutta d’attacco, con la passione per il gioco da dietro e per i fraseggi nello stretto non si era mai vista. Una rivoluzione in toto promossa da Roberto Mancini.

Addirittura sembrava che quel sistema potesse affossarci immediatamente. Poi sappiamo tutti com’è andata. Ovviamente Spalletti non è Mancini, ma il modulo è uguale e Luciano sviluppa la verticalità in maniera più repentina rispetto al suo precedessore. Il 3-5-2 invece rischia di appiattire troppo la squadra, dal momento che, proprio per la sua compattezza, presuppone una risalita del campo pressoché all’unisono.

Il 4-3-3 aveva dato delle certezze, anche senza aver visto l’Italia brillare. Si trattava solamente di trovare le pedine giuste, ma comunque in un sistema ampiamente conosciuto, che pareva più che adatto alla Nazionale. Spalletti ha voluto fare dietrofront e il CT stesso, nel post gara contro il Venezuela, ha mostrato grande sicurezza e convinzione nel voler proseguire in questa direzione.

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Una scelta temeraria, in controtendenza con lo Spalletti che conosciamo, probabilmente più preoccupato di mettere i giocatori nelle posizioni più abitudinarie, che nello sviluppare il proprio gioco. Ma questo 3-5-2 ha anche messo in mostra diverse carenze, oltre che di intesa, anche di rendimento da parte di diverse pedine. Su tutti, Federico Chiesa.

Federico Chiesa, Italia
Federico Chiesa, Italia @Twitter

Chiesa incompreso

Il tormentone Chiesa ce lo terremo fino all’estate, forse anche a Europeo in corso. Si parla di colui che, al top della forma, è probabilmente il miglior giocatore italiano attualmente in circolazione. La rosa di Spalletti ha tanti ottimi elementi, ma nessun fuoriclasse. L’Italia non ha la stella, come può essere uno Mbappé, un Leao o un Kane.

Come già asserito in precedenza, i singoli non sono mai stati la nostra forza. Diventavano grandi solo a posteriori, a risultati già conseguiti. D’altra parte, Chiesa ha invece i crismi del grande giocatore, finora mai espressi appieno, se non proprio a EURO 2020. Se da un lato, l’attaccante della Juve conserva un cambio di passo devastante, in grado di squarciare le difese avversarie, l’altra faccia della medaglia è la sua collocazione tattica.

Contrariamente ad altri suoi colleghi, meno devastanti ma più duttili, Chiesa ha il grande limite del ruolo. Originariamente impiegato come esterno a tutta fascia, il figlio d’arte si è affermato come ala, tutto sprint e prepotenza fisica. Solamente quell’infortunio al crociato subito a Roma nel gennaio 2022, l’ha costretto a un lungo stop. E per un giocatore di questa portata, l’integrità fisica occupa un ruolo preponderante.

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Il brutto infortunio è ormai alle spalle. Ciò nonostante, Chiesa manca ancora di quella continuità che lo consacrerebbe come fuoriclasse a tutti gli effetti. Federico adora destreggiarsi lungo la linea laterale, preferibilmente a sinistra, da cui può puntare e andarsene in velocità, rilasciando tutta l’esplosività di cui è dotato. Ciò che lo penalizza è la posizione ricoperta prima nella Juventus e poi con l’Italia proprio ieri, dove alle spalle di Retegui risultava spesso schiacciato centralmente.

Un problema visto a più riprese nel proprio club, dove la presenza in mezzo gli impedisce di sprigionare tutti i suoi cavalli per risultare decisivo. È dunque chiaro che l’enorme difficoltà di Chiesa riguardi soprattutto il modulo. Impossibile (sembrerebbe) la convivenza con la difesa a tre, anche perché l’Italia non possiede i centrocampisti giusti per comporre una mediana a due, così da creare i presupposti per un tridente d’attacco.

Federico Chiesa, Italia
Federico Chiesa, Italia @livephotosport

Risulta lampante come l’impatto di Chiesa dipenda, prima dalla sua forma fisica e poi dal modulo utilizzato. È Spalletti l’uomo chiamato a trovare la ricetta giusta per conciliare il proprio credo con la posizione dell’attaccante, mostratosi spesso insofferente quando si ritrova a ricoprire una zona di campo non particolarmente congeniale.

Chiesa non più al centro

Le difficoltà di Chiesa nascono dalla Juve, dove il numero 7 bianconero è slegato dalla sua cara posizione di esterno, oramai da tre anni. Abituato a stare in simbiosi con la linea laterale, l’attaccante della Nazionale ha avuto diversi screzi, anche con Massimiliano Allegri, pioniere del 3-5-2, che va però in netto contrasto con le caratteristiche dell’ex Fiorentina.

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Lontano dalla fascia, senza la possibilità di compiere allunghi e cambi di passo repentini, Chiesa viene disinnescato se posizionato centralmente. E questo è uno dei grandi temi attuali. Anche in Italia-Venezuela, benché nei due alle spalle di Retegui, il numero 14 di Spalletti ha riscontrato diversi problemi nel trovare la propria collocazione giusta all’interno del rettangolo di gioco.

Mateo Retegui
Mateo Retegui @Twitter

Una situazione paradossale, anche perché negli impegni a novembre, Chiesa pareva un’iradiddio. Il trucco stava proprio nella sua posizione in campo. Esterno nel tridente offensivo, largo a sinistra e quindi libero di puntare e convergere verso il centro. Quell’Italia si era presentata col 4-3-3, con cui aveva strappato la qualificazione all’Europeo dopo lo 0-0 maturato a Leverkusen contro l’Ucraina.

E proprio in quella circostanza, si era potuto ammirare un Chiesa trasformato, liberato dalle catene dell’infausto 3-5-2, per sublimare invece il proprio estro nel giardino di casa. La fascia sinistra. Ma allora perché Spalletti ha optato per questo cambiamento? Equilibrio o maggiore solidità da parte del proprio reparto arretrato, il quale non ha comunque brillato.

La realtà dei fatti è che la radiosa Italia del futuro (e del presente) non può permettersi di sacrificare Chiesa, anche se in palio dovesse esserci un migliore equilibrio tattico. Con la varietà di centrocampisti e difensori di cui è dotato, Spalletti può ancora sperimentare nuove idee e un tipo di modulo differente da quelli mostrati fin qui. Però bisogna precisare che il tempo a disposizione non è tanto, dunque, nel breve periodo andrà presa una decisione inequivocabile.

Il tempo è tiranno

Non è ancora tempo di fare drammi, anche perché all’Europeo manca ancora tanto tempo. Invece, Spalletti di tempo ne ha ben poco, poiché il CT dovrà trovare il bandolo della matassa e scegliere il sistema adeguato con cui presentarsi in Germania, dove l’Italia ha l’arduo il compito di difendere il titolo di campione d’Europa dagli assalti delle avversarie affamate in cerca di riscatto: Francia e Inghilterra su tutte.

Esultanza Italia
Esultanza Italia @livephotosport

Difesa a tre o difesa quattro? L’eterno dilemma che disturberà l’ex mister del Napoli, probabilmente da qui fino al 14 giugno. Ciò che Spalletti può fare è quello di valutare attentamente i pro e i contro di qualunque tipo di mossa, anche perché l’Italia dovrà riscattarsi dopo l’esclusione dal Mondiale per la seconda volta consecutiva. Missione complicata ma non impossibile, per un uomo dedito al lavoro, che cura ogni dettaglio nei minimi particolari.

L’altra questione spinosa riguarda Chiesa, irrinunciabile ma mai come quest’anno incompreso e spaesato. Il prossimo appuntamento lo affronteremo contro l’Ecuador, domenica 24 marzo. Il contesto lascia presagire la conferma della difesa a tre, mentre il numero 14 dell’Italia potrebbe rimanere confinato nelle acque melmose della mezza punta, ruolo che non gli appartiene e in cui fatica ad incidere.

Qualunque strada decida di intraprendere, Spalletti dovrà farlo subito. Le tempistiche non lasciano troppo spazio a improvvisazioni ed esperimenti. Sarà il nostro CT a compiere le scelte migliori per forgiare un gruppo incaricato di replicare la serata storica di Wembley. Il tempo a disposizione è poco, poiché il calendario intasato da qui a giugno costringerà tutti i nostri giocatori agli straordinari.

Spalletti ha ancora due mesi per sciogliere i propri dubbi, anche in proiezione degli altri due test amichevoli che l’Italia disputerà a inizio giugno, contro Turchia e Bosnia, prima di esordire nella rassegna continentale. A quel punto, le idee del nostro CT dovranno essere ben chiare, anche perché in Germania non potremo permetterci di sbagliare. Abbiamo un Europeo da difendere.

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